top of page
primo-piano-di-un-supporto-mani.jpg

LA MALATTIA DI PARKINSON

In questa sezione vengono trattati gli aspetti diagnostici clinici e strumentali e gli approcci terapeutici attualmente riconosciuti e codificati dalla comunità scientifica nazionale.

Prima la riconosco, prima intervengo, meglio intervengo.

La malattia di Parkinson è una malattia neurologica in cui una zona specifica dell’encefalo, chiamata sostanza nigra, viene colpita da fenomeni degenerativi che ne alterano la funzionalità.

La causa che determina la degenerazione non è ancora nota anche se il denominatore che accomuna, sul piano microscopico, le cellule malate è la presenza di depositi intracellulari, chiamati corpi di Lewy, costituiti da una sostanza che si chiama sinucleina.

Le cellule nervose, i neuroni, della nigra producono  una sostanza chimica chiamata dopamina la cui funzione è importante per regolare numerose attività cerebrali come:

  • il movimento

  • le funzioni emotivo/cognitive

  • le funzioni viscerali (controllo della pressione arteriosa, della motilità intestinale e viscerale)

  • il sonno

Avendo chiare le premesse è più semplice comprendere le diverse manifestazioni della malattia e i sintomi che portano il paziente a rivolgersi al medico.

L'IMPORTANZA DI SINTOMI E DIAGNOSI

Poichè la malattia appare solo quando l’entità della degenerazione neuronale è cospicua la neurologia negli ultimi anni si è impegnata a identificare dei sintomi precoci di malattia. Questi studi hanno permesso di dimostrare che la riduzione dell’olfatto, la deflessione dell’umore, le alterazioni del sonno e la stipsi rappresentano le manifestazioni precoci più attendibili per predire una possibile malattia parkinsoniana. Purtroppo questi sintomi non sono specifici solo per la malattia di Parkinson e devono sempre essere inseriti nel contesto del paziente e affidati alla sensibilità del medico per acquisire il giusto valore prognostico predittivo.

I sintomi motori costituiscono invece i marcatori più caratteristici e specificamente diagnostici in grado di incidere maggiormente sulle autonomie del paziente e sulla propria funzione sociale e lavorativa. Essi sono:

  • il tremore che compare tipicamente a riposo, viene abolito dal movimento ed accentuato dalle condizioni di stress psicofisico in cui aumenta la richiesta prestazionale;

  • la rigidità che condiziona una maggiore lentezza nel camminare, nello scrivere, nel parlare, nel vestirsi;

  • l’instabilità posturale che causa spesso cadute

Circa i sintomi che interessano umore e sfera cognitiva essi sono molto frequenti anche se la loro gravità e il relativo grado di interferenza con le attività quotidiane è molto variabile.

I disturbi psichiatrici più ricorrenti sono la depressione dell’umore, tipicamente dominata da perdita dell’iniziativa e anedonia, e la sintomatologia allucinatoria che varia da quadri di allucinazioni semplici fino a quadri più complessi di delirio (come spesso si osserva nella malattia a corpi di Lewy).

Per le problematiche cognitive il disturbo più caratteristico è dato dalla cosiddetta sindrome disesecutiva che si manifesta con una tipica diffcoltà da parte del paziente a organizzare e pianificare più compiti contemporaneamente. Questo disturbo appare sostanzialmente diverso da quanto avviene nella malattia di Alzheimer dove  a dominare sono i deficit delle funzioni corticali come memoria e prassia.

diagnostica

Diagnostica strumentale

La diagnosi di malattia di Parkinson è una diagnosi sostanzialmente clinica dove cioè i dati anamnestici e i segni clinici raccolti durante la visita sono sufficienti nell’inquadrare correttamente la patologia. Il ricorso a esami neuroradiologici come la TAC o la RMN encefalo sono comunque un utile supporto per escludere tutte quelle forme secondarie in cui la sintomatologia del paziente è mediata non da un processo degenerativo ma da altre patologie (vascolari, infiammatorie, tumorali, idrocefaliche) suscettibili di terapie differenti da quella dopaminergica.

Grazie alle metodiche di imaging funzionale (SPECT cerebrale con DATscan, PET con fluorodopa) è infine possibile individuare, nei casi dubbi, una precoce disfunzione del sistema dopaminergico. L’estensione degli studi funzionali di medicina nucleare a organi extraneurologici come il cuore (SPECT con MIBG) consente invece di discriminare fra Parkinson idiopatico e parkinsonismo atipico laddove nel primo è presente una denervazione del sistema autonomico assente nel secondo.

Terapia farmacologica

In mancanza di una terapia in grado di incidere sui fattori causali di malattia il trattamento farmacologico della malattia di Parkinson resta fondamentalmente un trattamento sintomatico. Benché a farmaci come la selegilina e la rasagilina siano stati attribuite funzioni di neuroprotezione non esistono ancora dati certi circa un loro ruolo preciso in questa direzione. Resta così di fatto che la terapia della malattia di Parkinson è sostanzialmente una terapia sostitutiva in cui la dopamina, carente nell’encefalo dei pazienti per effetto della degenerazione neuronale, viene rimpiazzata dall’esterno dai farmaci. Questi appartengono a due classi:

  • la Ldopa

  • i dopaminoagonisti

La L dopa è il farmaco di riferimento essendo il precursore da cui il neurone elabora e produce la dopamina. Con l’avvento della Ldopa la terapia della malattia di Parkinson ha subito una svolta significativa in termini di abbattimento di mortalità e di miglioramento di qualità di vita dei pazienti.

I dopaminoagonisti sono invece sostanze chimiche sintetizzate in laboratorio la cui struttura mima quella della dopamina. Quindi mentre la Ldopa necessita di essere metabolizzata e modificata dal neurone per essere trasformata nella sostanza attiva dopamina, i dopaminoagonisti sono già funzionalmente efficaci e in grado di determinare la risposta dei neuroni bersaglio.

Nel corso del tempo la ricerca neurologica ha focalizzato i suoi sforzi nel tentativo di ottimizzare le scelte terapeutiche in funzione dell’evoluzione della malattia con l’intento soprattutto di verificare se le modificazioni della risposta farmacologica potessero in qualche modo essere condizionate da un certo tipo di atteggiamento terapeutico. È noto infatti che, dopo un periodo iniziale di alcuni anni di riposta ottimale alle terapie, il progredire della malattia rende la risposta farmacologica variabile per l’instaurarsi di una complessa tipologia di fenomeni che esordiscono generalmente con fenomeni di fine dose (il farmaco non riesce più a garantire un effetto duraturo in grado di coprire l’intero periodo di tempo tra una assunzione e la successiva) per complicarsi successivamente con fenomeni di off (sia motori che non motori, in cui il paziente passa improvvisamente da una condizione di efficienza motoria a una in cui non riesce a muoversi). Nelle fasi avanzate anche la risposta motoria in on può essere scadente o comunque disturbata da movimenti parassiti e involontari: le discinesie. Dopo corsi e ricorsi all’uso privilegiato dei dopaminoagonisti o della Ldopa quello che attualmente appare un principio indiscusso al trattamento è riassunto nella necessità di determinare una stimolazione dopaminergica continua. Tale presupposto garantirebbe un ritardo nella comparsa delle fluttuazioni migliorando la risposta netta alla singola dose e ridurrebbe l’entità delle fluttuazioni stesse. I dopaminoagonisti per caratteristiche di farmacocinetica intrinseca, unitamente a dispositivi che ne dispensano il principio attivo in modo graduale e talora per via transdermica, rispondono meglio della Ldopa a questo presupposto. Tuttavia anche sul versante della Ldopa la farmacologia ha fatto notevoli passi avanti accoppiando al principio attivo inibitori enzimatici che migliorano la disponibilità del farmaco garantendo concentrazioni efficaci per tempi più lunghi. La possibilità di avere poi una formulazione di Ldopa in forma gelificata da somministrare per via digiunale con PEJ e micro pompa garantirebbe ulteriori vantaggi stante l’invasività relativa della metodica e la relativa maggiore complessità di gestione dell’apparato. Ma contestualmente alla terapia dopaminergica negli ultimi anni l’attenzione della ricerca si è rivolta ad un intrigante filone di ricerca costituito dai farmaci non dopaminergici. Tra questi la safinamide e l’opicapone hanno  ormai guadagnato l’attenzione della pratica clinica risultando importanti alleati nella cura laddove il paziente presenta fluttuazioni motorie permettendo un ulteriore ampliamento della finestra terapeutica.

Terapia chirurgica

L’idea di poter trattare chirugicamente la malattia di Parkinson è nata dall’osservazione che pazienti parkinsoniani, che andavano in contro a lesioni a carico dei nuclei della base, potevano presentare una riduzione più o meno transitoria di alcuni dei loro sintomi clinici. In modo controllato questa osservazione è stata trasferita al contesto terapeutico proponendo inizialmente degli interventi microdemolitivi di regioni sottocorticali ritenute coinvolte nella sintomatologia parkinsoniana (nuleo pallido, putamen, talamo). Successivamente all’intervento demolitivo è stato sostituito l’approccio di modulazione funzionale di aree cerebrali sempre più piccole e specifiche con l’impianto dei neurostimolatori. Questi apparati simili, per principio di funzionamento, ai pace maker cardiaci sono assimilabili a dei generatori di radiofrequenze che hanno come bersaglio anatomico quelle stesse strutture precedentemente oggetto delle procedure demolitive. L’assenza di un danno irreversibile e la possibilità, variando la frequenza di scarica dello stimolatore, di modulare la risposta neurologica, hanno fatto di questa tecnica un sicuro strumento di trattamento la cui efficacia in termini di risultati è tanto maggiore quanto più accurata è la selezione dei pazienti. La complessità dell’impianto, il rischio operatorio intrinseco, la necessità di disporre di una equipe multidisciplinare costituita da neurologo, neuropsicologo, neuroradiologo e neurochirurgo rende questa metodica praticabile solo in centri di eccellenza la cui esperienza settoriale è comunque garanzia di risultato in un contesto di maggiore sicurezza.

FISIOTERAPIA

Fisioterapia e malattia di Parkinson sono un binomio di recente costituzione: se facciamo una semplice ricerca bibliografica crociando i due termini scopriamo che fino al 2000 le pubblicazioni annuali sull’argomento si contavano sulle dita di una mano mentre dal 2000 in poi si è passati ad una media di un centinaio all’anno. Segno evidente che questo filone di terapia è giovane e motivo di crescente interesse. Lo scopo principale della fisioterapia nel paziente parkinsoniano è quello di offrire al paziente delle strategie cognitive o cognitivo/sensoriali in grado di facilitare ciò che al soggetto parkinsoniano risulta più difficile e cioè: la programmazione del movimento. Educare il paziente a considerare l’attività fisica una terapia a tutti gli effetti ha la stessa valenza di incoraggiarlo ad assumere con regolarità la terapia per garantire quella stimolazione dopaminergica continua che viene tanto auspicata. Al raggiungimento dell’obiettivo hanno contribuito, negli ultimi anni, attività correlate alla musica (canto e danzaterapia con particolare riferimento a tango e danza irlandese) dove l’aspetto musicale rappresenta l’elemento trainante e facilitante per superare l’impasse motorio. Analogamente attività come il nordic walking o la deambulazione su tapis roulant hanno dimostrato un effetto positivo sul movimento. In generale tutte le metodiche suggerite sembrano avere un effetto biologico mediato dalla produzione endogena di fattori di crescita neuronale importanti per la neuroprotezione e la plasticità cerebrale a cui si associa un’azione “funzionale” mediata dall’ esecuzione in gruppo di tali attività e di cui sembrano responsabili i neuroni a specchio: quelle cellule del nostro cervello comuni anche ai primati la cui attività si svolge sia in relazione ad un movimento agito che osservato. Praticare in gruppo una attività attiverebbe, attraverso l’osservazione degli altri, questa classe di neuroni che a sua volta è in grado di mediare la risposta motoria, migliorandola.

chirurgica
farmacologica
fisioterapia
aspi groane home banner low.jpg

COSA FA as.p.i groane RISPETTO ALla malattia di Parkinson?

bottom of page